Storie al bancone #1
La scoperta del volto
di
Pierantonio Micciarelli
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Si trovava sull’uscio, pronto ad uscire di casa, senza sentirsi in colpa né in pericolo per la prima volta, dopo quasi un anno. Senza mascherina e senza guanti. Non era stata una dimenticanza: non servivano più. Erano passati sei mesi esatti da quel giorno assurdo, fantascientifico, nel quale venne decretato il lockdown generale del suo paese a causa di una terribile pandemia che aveva messo in ginocchio il mondo intero. Migliaia di morti e un numero impressionante di contagiati; questo era stato il brutto sogno, durato ben oltre la notte, che nessuno avrebbe dimenticato. Per la prima volta nella storia ed esattamente nel medesimo momento, tutti i paesi del mondo si trovarono nella stessa situazione e tutti i popoli sulla stessa barca, che stava affondando. Famiglie distrutte, economia collassata e milioni di posti di lavoro andati in fumo. Il peggiore dopoguerra della storia dell’Uomo, e non era stato sparato nemmeno un colpo di pistola. Goffredo chiuse la porta dietro di sé e si avviò giù per le scale, con esitazione, con una strana sensazione che gli faceva pensare di aver fatto quel percorso così tante volte eppure gli sembrava una cosa nuova. Aveva un pacchettino con sé, con un piccolo nastro verde. Giunto davanti al portone intravedeva dietro ai vetri smerigliati che davano sulla strada delle ombre che si muovevano, sentiva dei rumori che parevano così lontani dalla quiete spettrale che lo aveva assordato per così tanto tempo. Troppo a lungo. Esitò un attimo e chiuse gli occhi, inspirando profondamente come se avesse dovuto tuffarsi a mare. Istintivamente si portò la mano sul naso, come a voler sistemare la mascherina chirurgica che però non c’era più. Forza dell’abitudine… Sorrise tra sé e sé e uscì. I passanti, il traffico e i rumori della vita erano di nuovo lì davanti lui come se il nastro fosse stato fatto scorrere velocemente indietro, come se tutto ciò fosse sempre stato normale. Ma non era così. Mai più lo sarebbe stato. Camminando notava ancora diffidenza, timore, incredulità. Se incrociava qualche passante cercava di girargli alla larga e lo stesso facevano gli altri con lui. “Distanziamento sociale” l’avevano chiamato. C’era ancora qualcuno che indossava la mascherina, per lo più persone anziane, segno che la paura era ancora grande. Il suo sguardo incrociò quello di un bambino che camminava con la mamma, calciando una palla arancione sul marciapiedi, e sorrise al saluto che gli veniva fatto con quella mano piccolina che si agitava veloce. Anche il bambino sorrideva felice ed eccitato dopo il lungo periodo di cattività. Non c’erano più le auto della polizia che circolavano facendo annunci riguardo a sicurezza o al coprifuoco che, per tanto tempo, aveva obbligato tutti a casa propria. Questione di vita o di morte dicevano. Non aveva più in tasca quel lasciapassare obbligatorio che aveva fatto sentire tutti quanti dei prigionieri, dei sorvegliati speciali nella propria città. Quattro miliardi di persone costrette a casa. Chi mai avrebbe pensato possibile tutto ciò? Eppure era successo. Che sensazione bellissima sentire il profumo di un’aria così diversa da come se la ricordava, senza quel calore e quell’umidità fastidiosa che si creava a causa della maledetta maschera. Stava per indossare gli auricolari, come al solito, ma esitò e poi lasciò perdere. Era da troppo tempo che il silenzio riempiva le strade e la sua testa, e quel rumore che prima gli era insopportabile adesso era il suono allegro del ritorno alla vita. La cosa che più lo colpiva erano i negozi aperti, quelle vetrine che tornavano a tentare i passanti con le loro promesse colorate, profumate, preziose o stravaganti dopo quel lungo abbandono che aveva lasciato in fin di vita la speranza. Ma quella mattina era diverso. Si ricominciava. Il pacchettino con il suo fiocco verde era stato preparato da Goffredo alcuni giorni prima, alla notizia della fine della serrata obbligatoria; conteneva una spazzola per capelli, in legno di cedro. L’aveva confezionato con cura e appoggiato sulla mensola del camino della sua bella casa, sempre piena di amici e di musica, di chiacchiere e cene rumorose. Il suo rifugio, il posto del cuore dove si rintanava e si sentiva protetto. Ma aveva iniziato a odiarla da quando era stato obbligato a rimanerci per forza. Era rimasta vuota, senza vita, e per la prima volta gli aveva fatto venire voglia di scappare. Usciva tutte le mattine, all’alba, per comprare i quotidiani che ripetevano sempre che il mondo era sull’orlo del baratro oppure, ogni tanto, a fare un po’ di spesa rimanendo ore in fila davanti al supermercato dove gli misuravano la temperatura prima di farlo entrare e dove era costretto a fare i suoi acquisti velocemente, senza perdere tempo, pressato dalla security che ripeteva che ogni avventore aveva un massimo di dieci minuti per scegliere i prodotti e recarsi alla cassa. Lui, che amava così tanto gironzolare nei corridoi e scegliere con cura tutto quello che poi avrebbe trasformato in piatti deliziosi, semplici e appetitosi o così elaborati e sublimi da spiazzare sempre i suoi ospiti; si sentiva derubato anche di quel piacere. Ma ne capiva la ragione e come un robot prendeva tre, quattro cose meccanicamente e andava alla cassa… All’uscita la coda era ancora più estesa. Ma pensava che per più di sessant’anni, a Cuba, la gente aveva fatto le stesse code per una manciata di riso e un po’ di pollo, elemosina del regime. E ancora una volta si sentì fortunato. Non aveva mai comprato né letto i quotidiani. Dava uno sguardo alle notizie on line la mattina, appena sveglio, ma finiva lì. D’altra parte non c’erano mai grosse novità diverse dalle solite banalità, dagli attacchi terroristici, i gossip o i litigi fra politici famelici che ignoravano l’esistenza del congiuntivo. La routine del XXI° secolo. Ma diciamo la verità, le cose erano cambiate e andare all’edicola a mezz’ora di cammino da casa era un alibi per sgranchirsi un po’ le gambe ogni mattina. Ci andava appena apriva, intorno alle cinque e mezza quando era ancora buio, con quel foglio in tasca su cui era specificato il luogo di partenza e la destinazione di quello spostamento, come il lasciapassare che Humprey Bogart, il Rick di Casablanca, consegna al marito di Ingrid Bergman per autorizzarli alla partenza e salvare la coppia dai nazisti…Goffredo comprava almeno cinque o sei diversi quotidiani e anche due testate straniere, tutti i santi giorni. Arrivato davanti alla minuscola edicola aspettò che ne uscisse un avventore che stava decidendo quale rivista di enigmistica comprare. Ogni mattina per sei mesi era andato lì, per i giornali e per una fuga dall’isolamento forzato e la vecchia edicolante spettinata con i capelli in
saggina, come con feroce ironia li considerava lui, lo accoglieva sempre con musica celtica. Una stonatura rispetto alla periferia milanese resa ancora più cupa dalle conseguenze della pandemia… All’uscita dell’uomo Goffredo entrò e la signora lo accolse distrattamente ma poi si fermò un momento dopo il saluto garbato di quell’uomo elegante, pensierosa: “Lei è quello della rassegna stampa completa… L’ho riconosciuta, sa? È l’unico che si veste così qui nel quartiere”. Goffredo sorrise divertito e la donna continuò: “Guardi, non so come mai, ma il Times non mi è ancora arrivato oggi”. “La ringrazio signora, ma i giornali non mi servono più. Sono venuto a salutarla e a portarle
questo”, disse lui poggiando il pacchettino sul piatto consumato dove la sua mano guantata aveva lasciato i soldi ogni mattina, per così tanti giorni. “Volevo vedere il suo volto. Ci siamo incontrati da estranei tante volte quando entrambi indossavamo quelle maschere che ci impedivano di riconoscerci. Volevo vedere il suo volto e salutarla.” La donna rimase colpita da quelle parole e sorrise appena, un po’ imbarazzata. Scartò il piccolo dono e ne fu felice. La musica celtica, allegra ed energetica, riempiva quel piccolo bugigattolo pieno di giornali, riviste e gratta e vinci. Goffredo uscì e la signora sorrise, aggiustandosi i capelli e specchiandosi nella vetrina con un pizzico di vanità.